25 novembre. L’impatto sui bambini delle violenze nella coppia genitoriale

25 Novembre 23

In sintesi:

• Non bisogna mai dissociare la sfera della coniugalità e quella della genitorialità

• I bambini non sono semplici testimoni ma co-vittime della violenza nella coppia

• La violenza nella coppia genitoriale deve essere riconosciuta come una forma di maltrattamento sui figli da parte dell’autore

• Dobbiamo presumere che un marito o un partner violento è un padre violento

• La protezione delle vittime di violenza domestica e dei loro figli deve essere garantita anche nella sfera della genitorialità

• Anche i professionisti che lavorano nell’ambito delle procedure di separazione/divorzio devono essere formati sulla violenza domestica e sull’impatto che ha sui bambini

• I professionisti devono saper riconoscere le violenze domestiche e non considerarle come semplici conflitti

• Tutte le decisioni riguardanti l’autorità parentale, la custodia e i diritti di visita devono tenere conto dell’impatto della violenza domestica e fondarsi su un principio di protezione del bambino

• Le istituzioni devono sensibilizzare i professionisti sull’infondatezza scientifica e la pericolosità del concetto di “alienazione parentale”

• Ci sono ragioni legittime per cui un bambino si rifiuta di vedere un genitore: esse vanno sempre approfondite

I bambini vanno ascoltati, creduti, protetti.

Un bambino ha diritto di proteggersi dalla sofferenza.

È nostro dovere dare la priorità alla protezione del bambino.

https://www.youtube.com/watch?v=_VEY-O4URsI

“Sono Edouard Durand, giudice. Sono stato magistrato dei minorenni, in particolare a Marsiglia e a Bobigny e dal 23 gennaio 2021 co-presiedo la Commissione indipendente sull’incesto e le violenze sessuali sui bambini, che ha due missioni principali. La prima è raccogliere la parola delle persone che sono state vittime di violenze sessuali durante la loro infanzia, in particolare le vittime di incesto. La seconda è formulare delle raccomandazioni di politica pubblica per cambiare la società e proteggere meglio i bambini.

In maniera teorica o astratta, si potrebbe dire che la sfera della coniugalità e la sfera della genitorialità non hanno nulla in comune, che sono due sfere ben distinte. In realtà, nella vita reale delle persone, degli uomini, delle donne, e delle famiglie e dei bambini all’interno della famiglia, queste due sfere della coniugalità e della genitorialità non possono essere separate, perché noi siamo le stesse persone.

Sappiamo che l’80% delle donne vittime di violenze coniugali sono madri. Dunque, se non trattiamo in modo adeguato la genitorialità nelle situazioni di violenze coniugali, tutte le misure di protezione che saranno prese nella sfera della coniugalità finiranno per essere vane, perché non ci sarà alcuna protezione nella sfera della genitorialità. Quello che accade nella coniugalità, ossia l’asimmetria, il potere, il rapporto di dominazione, si esercita anche nella sfera della genitorialità.

E sappiamo anche che nelle violenze coniugali almeno il 75% dei pretesti per le aggressioni dell’autore contro la vittima sono legati alla genitorialità. Per questo non bisogna mai dissociare la sfera della coniugalità e la sfera della genitorialità.

Inoltre, i tratti di personalità dell’aggressore nella sfera della coniugalità – in particolare l’immaturità, l’intolleranza alla frustrazione, l’assenza di empatia, l’imprevedibilità – devono essere presi in considerazione nella sfera della genitorialità. Essere genitore significa essere necessariamente confrontati alla frustrazione. Educare un bambino richiede di far prova di prevedibilità: l’educazione è la ripetizione di regole. Ed essere genitore richiede infine di saper far prova di empatia verso il proprio figlio, ossia essere in grado di comprendere che il proprio figlio ha dei bisogni che sono diversi dai propri, e che non solo questi bisogni sono diversi, ma sono anche prioritari.

In altri termini, per proteggere le donne vittime di violenze coniugali, e i loro figli, è necessario essere protettori nella sfera della genitorialità. Un marito violento è un padre pericoloso.

Un marito violento è un padre pericoloso. Nessuna protezione è possibile nelle situazioni di violenze coniugali se la genitorialità non tiene conto della violenza nella sfera della coniugalità.

Detto altrimenti: esiste un modo di prova, classico, ancestrale, estremamente ben fondato, che è ciò che chiamiamo la “presunzione”. Dobbiamo dunque presumere che un marito violento è un padre pericoloso. E dobbiamo quindi organizzare l’esercizio dell’autorità parentale secondo un principio di protezione. Per questo occorre fare la distinzione tra quelli che chiamo i quattro registri della genitorialità: la filiazione, l’autorità parentale, il legame e l’incontro.

Tendiamo sempre a pensare che dal momento che c’è la filiazione, deve anche esserci l’autorità parentale, il legame e l’incontro, mentre questi sono quattro distinti registri della genitorialità.

Sì, è suo padre, c’è la filiazione, non lo neghiamo, ma non è perché c’è la filiazione che deve per forza esserci l’autorità parentale. L’autorità parentale è uno strumento giuridico che ha come finalità l’educazione, la protezione del bambino: prendere le decisioni importanti per il bambino, organizzare la sua vita, organizzare al meglio gli incontri in seno alla sua famiglia.

Nelle situazioni di violenze coniugali, occorre permettere alla donna vittima di violenze coniugali di detenere l’autorità parentale esclusiva per organizzare la vita della famiglia dopo la separazione.

Allo stesso modo, c’è una differenza tra il legame e l’incontro. Come afferma il dottor Jean-Louis Nouvel, un pedopsichiatra, il legame è psichico mentre l’incontro è fisico. Ed aggiunge anche che a volte l’incontro fisico attacca il legame. Ed afferma dunque che in alcuni casi occorre aiutare il bambino a spezzare il legame, a liberarsi dall’emprise dell’aggressore al suo interno.

La domanda è: chi vogliamo proteggere? Vogliamo che questi bambini possano dormire? Vogliamo che possano imparare a scuola? Vogliamo che possano giocare con i loro compagni senza essere sopraffatti dal riemergere delle scene traumatiche e dalla presenza dell’aggressore al loro interno, che prende possesso di loro. 

Dobbiamo dunque fare la distinzione tra i quattro registi della genitorialità.

La protezione è una catena. Nessun professionista può essere protettore da solo. È una catena perché ogni competenza è indispensabile. È una catena perché la decisione è un processo che si elabora con i diversi contributi complementari. Ed infine, l’udienza, il tribunale, non sono né un momento né un luogo in grado di permettere la comprensione di una situazione nella sua totalità e nella sua verità.

Come giudice posso capire quel che succede nel secreto delle mura domestiche solo se i professionisti si impegnano nei loro rapporti e nelle loro valutazioni a spiegare ciò che hanno osservato e ciò che hanno capito nel modo più preciso possibile. In altre parole, un professionista, un medico, un’assistente sociale, un educatore o un’educatrice della prima infanzia, non posso aspettarsi da un giudice, da un magistrato dei minorenni, da un pretore, da un tribunale penale, null’altro che quello che gli scrivono.

Infine, le violenze coniugali sono non soltanto un passaggio all’atto o, più precisamente, una successione di passaggi all’atto, ma sono anche un contesto di controllo, di terrore, di paura, di angoscia. E tutto questo, ogni professionista deve saperlo descrivere. Descrivere precisamente quello che osserva nelle attitudini dell’aggressore, della vittima, le parole che vengono pronunciate. Ed anche quello che osservano nello sviluppo dei bambini: è fondamentale.

Per essere protettori nelle situazioni di violenza coniugale, occorre non soltanto tenere in considerazione il legame indissociabile tra la coniugalità e la genitorialità, ma anche saper fare la differenza tra la violenza e il conflitto, e prendere in conto la presenza di concetti che nuocciono alle vittime (anti-vittimari), concetti che tendono a ostacolare la nostra capacità di vedere la situazione di violenza, di tenerla in considerazione e di essere protettori.

Nella sfera della genitorialità, della separazione o del divorzio, del diritto di famiglia o della protezione dell’infanzia, si osserva la presenza estremamente preoccupante di un concetto pericoloso, il concetto di alienazione parentale, che contribuisce ad evacuare la capacità di pensare la realtà della violenza sulle donne nelle violenze coniugali, la realtà dell’impatto traumatico sui bambini co-vittime e la realtà delle violenze fisiche, psicologiche, o anche sessuali, nei confronti diretti dei bambini da parte del coniuge violento.

Il concetto di alienazione parentale è stato inventato sul finire degli anni Ottanta da uno psichiatra americano che affermava che in un enorme numero di divorzi con conflitti sulla separazione e sulla custodia dei figli, la madre lava il cervello del bambino, affinché si rifiuti di vedere suo padre.

Questo concetto ha avuto un grande successo perché è la cauzione della negazione (déni) della violenza.

Ci sono ragioni legittime per cui un bambino si rifiuta di vedere uno dei suoi genitori, come ad esempio l’alleanza e il distacco. L’alleanza è il processo psichico con cui un bambino attenua la sofferenza che gli causa la separazione dei suoi genitori creando una relazione privilegiata, a volte anche esclusiva, ma provvisoria e reversibile, con un solo dei suoi genitori, la sua figura di attaccamento principale che è generalmente la madre. Per soffrire di meno, voglio restare con mia mamma, è provvisorio ed è reversibile. Possiamo capire il bambino, possiamo accettare che il bambino soffra di meno. E la seconda ragione è il distacco, che è il processo psichico con cui un bambino si autorizza a non essere più legato a un genitore che gli fa paura, a un genitore che lo aggredisce, a un genitore violento. E questo è appunto il caso delle violenze coniugali. Dobbiamo sostenere questo processo di distacco.

Infine, è assolutamente indispensabile tenere sempre presente il fatto che, contrariamente a ciò che spesso si pensa, le false denunce di violenza, di violenze coniugali, di violenze sessuali sul bambino, sono non soltanto marginali, ma estremamente residuali. La lettura scientifica e la ricerca internazionale dimostrano che, se guardiamo i dossier relativi ai divorzi o i dossier relativi ai maltrattamenti nei confronti dei bambini, le bugie, le false accuse, sono estremamente rare.

In altri termini: il rischio che corriamo come professionisti, come istituzioni, non è di sovra-interpretare le rivelazioni di violenza, il rischio reale che corriamo è di lasciar passare sotto ai nostri occhi dei bambini vittime di violenze senza proteggerli.

Se vogliamo dar vita alla catena della protezione, ci sono una serie di pratiche professionali che sono protettrici: il depistaggio (repérage) sistematico, credere la persona che rivela le violenze e mettere in atto i principi di protezione.


[1] Unité de médecine des violences, Enfants exposés à la violence dans le couple parental, 2020.

[2] GREVIO, Rapport d’évaluation de référence. Suisse, 15.11.2022, punto 175.